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La voce dell’arte ele ragioni
della politica
L’arte della politica,
la politica dell’arte, una dicotomia. si direbbe, senza
soluzioni: l’una è quella delle continue mediazioni, delle mezze verità che
cercano la completezza nel negoziato con le altre parti. L’ altra,
invece, quando è tale (arte vera) persegue solo verità assolute; non conosce
mediazioni ma solo la propria necessità poetica. L’una e l’altra hanno
ciascuna le proprie condizioni di esistenza e le proiezioni di sopravvivenza.
La prima — a sua volta figlia — genera ideologie (di sinistra, di
destra, di centro), fortemente calibrate sulla capacità di attrarre aree
sempre più vaste della società, individuando e indicando problematiche comuni
e promettendo soluzioni valide per chiunque si riconosca in quel progetto. La seconda non è di
sinistra, non è di destra, né di centro... semplicemente è, nel suo puro
manifestarsi. Essa non produce, né, dunque, promuove ideologie, ma
nella sua proiezione verso la perfezione assoluta, semmai indica ideali,
pervenendo non di rado, dalle sue metafisiche “distanze”, a prefigurare
tempi, a spiegare i principi essenziali della realtà che la politica farebbe
bene ad auscultare. L’arte della politica, proprio in ragione della
sua necessità di penetrazione estesa nella società, persegue il comune luogo
(luogo comune) di incontro e di confronto con la società e, a giudicare
dall’appiattimento della dialettica e dei tratti distintivi delle ideologie
che si contrappongono oggi nel mondo, si direbbe che non esita a
disarticolare le differenze e le istanze che da esse derivano, pur di trovare
in un vocabolario sempre più ridotto e indistinto, le parole “povere”, comuni
ed omologanti, per intendersi... (Ci sarà un qualche nesso tra lo sbiadire della proposta politica e della con/fusione al “centro” delle forze di
sicura tradizione democratica e la germinazione per contrasto, di estremismi
xenofobi, razzisti e neonazisti, che alle soglie del terzo millennio, cittadini
de/formati al pensiero unico del Grande
Fratello,
manderebbero al governo del mondo? Chissà!). La politica dell’arte,
muore di banalità e dunque, non per scelta, ma per condizione trova
nell’articolazione complessa, nella ricchezza delle soluzioni, nella
diversificazione permanente delle forme espressive (sempre ispirate ai
principi vitali della natura, e da qui l’insospettata aderenza alla realtà) la
sua estrema possibilità di perpetuarsi e porsi come riferimento per
l’avanzamento del sapere. e della conoscenza. Ecco allora a confronto la
superficie piana (piatta) delle certezze inventate (secondo una logica non
dissimile da quella del mercato), comode e accomodanti (annichilenti) della politica e il piano inclinato dell’eterno interrogarsi dell’arte. Le recenti lezioni,
americana, italiana e francese, sono tre esempi allarmanti del pericolo mortale
che la politica dell’indistinto (quasi afasica per la dimostrata
incapacità di intendere e interpretare le “diversità”) sta facendo correre
alle grandi democrazie occidentali. La politica dell’arte,
viceversa si nutre proprio di quelle “diversità” e anche dei “conflitti” —
quelli delle idee naturalmente — che la politica politicante vorrebbe
cancellare. Ecco allora dove paradossalmente si ricompone la dicotomia
iniziale tra politica e arte: in un destino che le accomuna pur
nel perenne contrasto fra mediazione e assoluto, fra compromesso e verità.
Eppure l’una vive nell’altra e viceversa: la buona politica opera buon
ufficio se guarda l’arte e ad essa si ispira come modello ideale di
perfezione e di “libertà” (e allora ben vengano tutte le mediazioni e i
compromessi se questi si rendono necessari per ribadire “paletti” a difesa dei
valori di giustizia e di uguaglianza — su questo terreno si, la sinistra lo
ricordi sempre, incontra gli artisti e gli intellettuali):
Non .esiste “libertà” senza regole e, di certo, non esiste arte senza
“libertà” vera, quella che soltanto l’esercizio nobile e disinteressato della politica sa garantire.
Tratto da “ Nuovasteso90 “ del 10/05/2002
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